Saperne di più

Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.

Le amiche di Alia.

• 30 Ottobre 2020

Abbiamo ricevuto da R.F., un’amica che frequenta Alia e le nostre attività culturali, questa recensione al libro La vita lunga delle donne di Marina Piazza, Solferino 2019. Volentieri la condividiamo.

 

Corso di Porta Romana, la colonnina del bookcrossing, lasci e prendi, scambi, ed ecco che Maria trova il libro di Marina Piazza, La vita lunga delle donne (Solferino, 2019), e quando arriva a casa mi dice: “Mamma, mi sembra che ti possa interessare”.
Inizio a leggerlo e mi rendo conto, sento, che non sono sola. Adesso so che ci sono sette milioni di donne che in questo momento stanno affrontando la vecchiaia, sono entrate in una fase di fragilità, affrontano l’abbandono qualsiasi sia (morte o divorzio) e si devono reinventare la vita.
Settantadue anni: la stessa età della scrittrice, una ex sessantottina, e un passato simile. Una generazione accomunata un tempo da sogni e illusioni e oggi dal cercare un altro modo di trascorrere gli ultimi anni della vita. Il libro mostra che la vecchiaia esiste e colpisce, ma che ci sono molte “vecchiaie possibili”.

Nella quarta di copertina si legge: “La vecchiaia è un passaggio che fa paura se ci consideriamo oggetti che smettono di suscitare desiderio e ammirazione ma non se ci pensiamo come soggetti pronti a scoprire che ci sono ancora molte cose bellissime da fare. Non felici di invecchiare, ma libere di invecchiare”.
I vari capitoli scandiscono i problemi che attraversano i corpi e le menti di una generazione che ha visto e vissuto l’emancipazione soprattutto – e forse, per alcune donne, solo ed esclusivamente – attraverso la politica.
L’autrice ha raccolto interviste a varie donne di diverse categorie sociali, e il bello del libro sta anche in questa libertà di voci e di opinioni, di differenze nell’affrontare questo tratto finale, ognuna con il suo bagaglio di errori, di dolore, di rimpianti, ma anche di una vita vissuta.
Si muore una sola volta: non puoi ripetere e imparare questo passaggio. Ma rinascere si può e si deve, anche piangendo per la solitudine e per gli sbagli commessi.

Ci sono 15 capitoli e ognuno attraversa un aspetto della vecchiaia.

Dal capitolo “In punta dei piedi nella vecchiaia”:
«E affiorano i rimpianti per le scelte che non si sono fatte, per gli amori scartati o finiti, per la selva di potenzialità perdute, per la vita che avremmo potuto avere e non abbiamo avuto.
In questi momenti può anche farsi spazio il bisogno di piangere, piangere per quello che si pensa perduto, piangere per quello che si pensa potrà accadere, perché il pianto, la tristezza – scrive la psicanalista Emanuela Fraire – sono gli ‘umori che accompagnano non solo la fine e la separazione, ma anche l’inizio di un nuovo viaggio (…) e lo si può fare solo accettando di piangere le lacrime non piante (…) è necessario per ricominciare il viaggio’».

Un altro capitolo è intitolato “Il tempo delle perdite”: perdita della salute fisica e non solo, della propria autorevolezza, di un’amica, paura della solitudine, della demenza, dell’isolamento «e poi soprattutto, incomparabilmente più straziante, la perdita della persona che ha fatto parte della tua vita, a cui hai voluto bene, con cui hai fatto progetti, case, viaggi. Naturalmente il marito/compagno, che ti ha lasciato sola ad affrontare questa ultima, difficile parte della vita. Che ti ha fatto assaporare il sale amaro di sentirti vedova, una parola che prima non avevi mai preso in considerazione per te, che ti lascia inerme ad affrontare la solitudine che pensavi non esistesse, che ti fa guardare con invidia le coppie che invecchiano insieme. Qualcosa di indicibile che la poetessa Wislawa Szymborska nasconde dietro il dolore di un gatto rimasto senza padrone (…):

Morire – questo a un gatto non si fa.
Perchè cosa può fare il gatto
In un appartamento vuoto?
Arrampicarsi sulle pareti.
Strofinarsi tra i mobili.
Qui niente sembra cambiato,
eppure tutto è mutato.
[…]
Qui c’era qualcuno, c’era,
poi a un tratto è scomparso
e si ostina a non esserci.
[…]
Che altro si può fare.
Aspettare e dormire».

Il capitolo “Dove sono i guadagni?” è uno di quelli che ho letto con più coinvolgimento. Trovare un significato alla vita, dopo aver lavorato per decenni, corso, pensato a quello che bisognava fare, dimenticato sé stesse, oggi possiamo godere i nipoti, vedere la loro crescita senza responsabilità, senza i tempi stretti, accettare il tempo lento e riscoprire che esistono le stelle, un orto da curare, essere libere dalla competizione.

I capitoli “Morire” ed “E alla fine l’introduzione”: bisogna imparare a vivere, ognuna di noi deve imparare a diventare quello che non era e completare sé stessa.
Per quanto mi riguarda, devo diventare un po’ matta, un po’ egoista, un po’ egocentrica: tutto quello che non sono mai stata. Oggi devo permettermelo per essere viva e assaporare quello che mi può dare ancora la vita, la mia vita che adesso deve e può essere solo mia.

La lettura di questo libro mi ha suscitato alcune riflessioni personali che mi piacerebbe condividere.

 

 

 

“La vecchiaia non è una roba da femminucce”

Foto di Bette Davis . Frase attribuita a Bette Davis

 

 

 

 

 

Il libro dice che vale la pena di vivere anche da vecchi, ma io aggiungerei che ogni persona ha il diritto di decidere come e se vivere gli ultimi anni che le rimangono. Si è sempre soli e i momenti che condividi con altri sono forse sogni, illusioni. È bello guardare le stelle in due, ma quello che senti e provi lo senti solo tu; è bello tornare a casa e non trovarla vuota, ma ogni cosa ha un prezzo, perché la solitudine può essere anche il risultato di una decisione presa per orgoglio, per quell’amor proprio che magari hai disatteso in altri tempi, mentre adesso basta, devi decidere almeno una volta nella vita di non venire calpestata, e sei disposta a pagare anche un prezzo insostenibile.

C’è nelle donne un momento in cui non si è sole: quando porti in grembo una nuova vita. Ma questo dura 9 mesi, e dopo c’è una grossa lotta, un travaglio, perché questa simbiosi psicofisica finisce, questi due corpi devono dividersi, diventare due entità, e da quel momento, nonostante tutto l’amore che puoi dare e ricevere, entrambi tornano ad essere soli. Il bimbo per sopravvivere deve essere egoista, la mamma dona sé stessa e dà tutto. È l’unico amore che non chiede nulla in cambio, ma quante volte si sbaglia. Quante volte una figlia sente la madre troppo moglie e quante volte il marito si adagia, si appoggia su di te, e tu accogli e diventi madre. Quindi troppo moglie per tua figlia, troppo madre per tuo marito. Quanti errori, quanti rimpianti: tutto si paga, nessuno sconto soprattutto quando sei vecchia, e può sembrare che tutta la tua vita crolli. E allora bisogna tirare fuori le palle, proprio perché sei una donna, ma siamo anche le vecchie della generazione che voleva l’immaginazione al potere, che ha portato la minigonna, che ha osato parlare dell’amore libero, del divorzio, del diritto di decidere del proprio corpo. Molte cose sono state usate, distorte e sono diventate funzionali alla nostra società capitalista, ma lo spirito con cui abbiamo voluto queste cose non possono togliercelo. E allora, ancora in cammino. Bisogna di nuovo imparare a sognare.
Scarpe rotte eppur bisogna andar.