Saperne di più

Per orientarsi nelle difficoltà legate all’essere donna oggi può essere utile ascoltare una conferenza, leggere un articolo, vedere un film, partecipare a un dibattito.

D: I sintomi dei bambini. Che fare?

R:

I disturbi dell’infanzia: ADHD, Disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, DSA, Disturbo oppositivo-provocatorio, Disturbo della Condotta, Disturbo dell’attaccamento, …

Questi disturbi danno un nome a una serie di tratti comportamentali disfunzionali. Essi sono il modo in cui emerge un malessere  del bambino: sono il sintomo di un disagio psicologico. Il disagio che li produce è diverso per ciascuno, cioè non esiste una corrispondenza generalizzabile tra il disturbo diagnosticato con queste etichette e il disagio psicologico sottostante che consentirebbe di dedurre dal disturbo quale è il problema, per esempio: gli adhd soffrirebbero tutti di ansia per l’autorità materna, i disgrafici soffrirebbero tutti di traumi infantili, e via fantasticando…

Per ogni sintomo bisogna quindi indagare con i genitori quale è la situazione della famiglia e della vita del bambino. Per es. sono nati dei fratellini? E’ deceduto qualche familiare? etc. Perchè la specialista possa farsi un’idea delle origini del problema e poi verificarle nell’interazione con il bambino.

Il bambino è spesso investito di grandi attese, ci si aspetta che porti una felicità profonda e quando nasce è chiamato a rispondere all’ideale che viene a simbolizzare.
Per raggiungere tale perfezione, il bambino deve rispondere a norme sempre più codificate. Deve adattarsi alle situazioni più complesse della sua esistenza senza manifestazioni sintomatiche. Se fallisce nell’essere “normale”, entra allora nel triste mondo del disturbo psichico e delle sue valutazioni. In realtà, è solo cresciuto e si è rivelato diverso dalle attese, così è  decaduto dal posto in cui era stato messo nella fantasia e diventa un sintomo familiare.

 

Per noi non si tratta di accusarlo ma di dargli spazio e trattare la distanza tra le attese e la realtà. La prima cosa è chiudere fuori dalla porta giudizi e colpevolizzazioni del bambino o dei genitori, fanno male e non servono a nulla.

Cerchiamo con i genitori la maniera di rispondere al sintomo in quanto esso è una particolarità del loro bambino. Poi bisogna tenere ben presente che quello che i genitori vorrebbero trasmettere non è quello che il bambino sceglie di ricevere.

Molti approcci terapeutici mirano a far scomparire rapidamente il comportamento giudicato inadeguato. Tali metodi riducono il disturbo ad un errore, ad un difetto che bisogna correggere e rieducare. Non si interrogano né sui legami familiari tra i genitori né sulla loro storia ma considerano il bambino (e talvolta anche la madre) come dei robot che bisogna riprogrammare per ottenere azioni più adeguate. Il disturbo è stigmatizzato e purtroppo spesso lo sono anche il bambino e i suoi genitori.

Noi procediamo diversamente, per noi il sintomo appartiene ad un soggetto particolare nella sua relazione con l’Altro.

Arrivare a dire il proprio tormento è potersene distaccare cogliendolo in un’altra maniera. I bambini non hanno sempre la possibilità di soggettivare il proprio sintomo, cioè di realizzare che qualcosa non va e d’altro canto i genitori possono sentirsi esasperati dal loro bambino che non apprende, non si impegna, non sta attento, sta sempre appiccicato, non smette di gridare, di prendere tutto il posto in casa, di fare il clown, di disobbedire sistematicamente. Sono questi comportamenti reattivi che vengono etichettati come disturbi dell’infanzia, ciascuno con un nome specifico. In tutti i casi è come se il bambino stesso si rendesse impossibile provocando una reazione negativa nei suoi confronti ma le ragioni per cui lo fa o il modo in cui lo mette in atto (essere iperattivo – ADHD) oppure svogliato – DSA  oppure disattento – deficit dell’attenzione) sono diversi in base a fattori reconditi ma che possiamo rintracciare e disinnescare. Perciò non è tanto importante ricercare i sintomi esatti di un’etichetta o cercare un significato di quell’etichetta. Il significato varia da bambino a bambino.

Il lavoro che facciamo sui sintomi del bambino è svolto in parte con i genitori, per esplorare fino a dove possono arrivare nell’aiutarlo, e poi con il bambino per il tempo necessario a cogliere le ragioni del suo disturbo e pacificarlo.

L’infanzia è un’età plastica, aperta ad evoluzioni rapide e sorprendenti, basta trovare qualcuno che ascolta e capisce qual’è il tormento perchè il naturale progresso della crescita riprenda.


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